smart working moreno scorpioni

La libera professione ai tempi dello smart working, altrui

Ciao, mi chiamo Moreno, ho 33 anni e faccio il freelance da 9 anni. Di conseguenza: faccio smart working da quando sono nato – professionalmente.

È bene chiarire subito una cosa però: non sono lo smart worker che vedete in queste settimane di coronavirus su instagram.

Non mi vesto di tutto punto come se, non ho una scrivania ordinata con agende (sebbene ciclicamente ne compri per senso di appartenenza alla categoria), plan (idem come prima), penne (ho smesso proprio di scrivere a mano, tanto la mia grafia ha sempre fatto cagare) e borracce ma, soprattutto, non faccio il fottuto bujo.

Ho invece la capacità di stare in tuta / pigiama rimanendo produttivo (pazzesco!), i miei appunti transitano tra fogli sparsi qua e là, post-it e tutto ciò che la mia testa riesce a immagazzinare e, nonostante questo, riesco più o meno a fare tutto quel che c’è da fare mentre cucino e rispondo al telefono, faccio la lavatrice e persone dall’altra parte della cornetta «ma cos’è questo rumore? Moreno, sei tu?» «Sì, è la lavatrice. Quindi?» e cose così.

Mi chiamo Moreno, ho 33 anni e fino a prima del 23 febbraio ero molto, ma molto felice di fare smart working. Ma proprio che a me della scrivania dietro cui appendere una foto dei miei amici con occhiali stupidi a un matrimonio non me ne è mai fregato niente (pur contento per chi lo fa).

Poi, con l’avvento del coronavirus, tutto è cambiato e adesso, per paradosso, vorrei solo andare dal cliente per poi non sentirlo più.

Il problema con lo smart working in Italia nel 2020 è che la gente non ha capito cos’è.

Soprattutto ai piani alti, dove il tentativo è quello di replicare a casa la dinamica di ufficio. Alla passeggiata molesta con sortita a sorpresa alle macchinette del caffè per vedere se si è produttivi, si sono sostituite comunicazioni su qualsiasi canale: gli avvistamenti silenti di stories, il like alla foto della tazza di caffè, la mail alle 9.03.

Horror vacui da timbratura, come se ogni mattina un freelance mandasse una mail a tutti i suoi clienti con su scritto: “Buongiorno! Sto per iniziare a lavorare!”

Senza tener conto della vera potenzialità dello smart working: valutare le persone per quello che realmente fanno, per gli obiettivi che portano a casa, senza dover stare necessariamente 8 ore a fissare un monitor o 10 ore fisso in studio a sfogliare carte solo per essere l’ultimo che esce prima del grande capo. Sì, sono passati più di 40 anni dal primo Fantozzi, eppure. Hai delle cose da fare e hai un arco temporale entro cui realizzarle: il come e il quando sono fatti tuoi.

«Che confusione, c’è molta gente lì con te?»

«Sì guarda, sono in aeroporto.»

«Ah. E per quella consegna di giovedì?»

«Te la mando giovedì.»

Su Google si possono programmare le mail, benvenuti nel nuovo millennio. Ti viene in mente una cosa pazzesca prima di addormentarti e senti l’impulso irrefrenabile di dirlo al mondo? La domenica mattina piuttosto che dormire concerti nuove e sicuramente efficacissime strategie per vendere il tuo prodotto? Programma la mail che stavi per inviare e dormici su: arriverà comunque ai destinatari, ma la mattina dopo. E probabilmente, ti renderai conto che era una cazzata. O che comunque non c’era bisogno di inviarla all’1 di notte.

Noi che c’eravamo before it was cool

ci ritroviamo in gruppi segreti su facebook e telegram a dirci «oh, ma anche il tuo cliente ha messo tutti in smart?» « già» «e com’è?» «una merda, come vuoi che sia? Mi chiamano a qualsiasi ora, ho insegnato a un paio di loro a usare zoom e calendar e adesso spuntano su computer o cellulare ogni mezz’ora.» «Ma gliel’hai spiegato che bisognerebbe limitare o comunque usare consapevolmente la banda ché sennò è un casino vero?» «Seee figurati, hanno scoperto Google Drive e i file condivisi l’altro ieri, non credo possano digerire anche questa.»

Come se il lavoro da casa fosse avulso dal tempo, immerso in una dimensione di eterno e continuo presente lavorativo perché “tanto sei in casa” seguito da “già che sei davanti al pc” mentre tu sì, stavi pensando a come fare meglio quella data cosa, ma svaccato sul divano mentre giocavi alla switch.

Fare smart working non significa essere reperibile per qualsiasi “urgenza” ogni minuto del giorno e della notte, senza distinguere una domenica da un martedì.

Anche perché, in tempi come questi, le parole e il buonsenso dovrebbero guidarci e aiutarci a capire che di urgente, a meno che non ti occupi di sanità o di rifornimenti alimentari, c’è davvero ben poco.

Di tanto in tanto la notte, quando prendo sonno dopo aver constatato che è stato inviato l’ennesimo wetransfer alle 00.23, mi chiedo: ma come posso pretendere che sappiano cosa significa fare smart working se nel 2020 non hanno ancora capito che nel campo “oggetto” della mail va inserito il tema del messaggio, e non il corpo?

Quella del “rispondi a tutti” è un’altra storia. Sempre attuale, anche nel 2020.

  
  
       

Commenti (2)

  • Nel lontano 2014 la mia responsabile di allora sapeva benissimo come programmare l’invio delle mail; le preparava durante la giornata con invio dopo le 17,30 per farsi pagare gli straordinari… no comment.

  • Non c’è limite all’ingegno, se vogliono.
    Io quando avevo da poco iniziato a lavorare avevo un cliente che mi chiamava puntuale ogni mattina alle 9:
    “Ciao, sono xxx. Come va?” era la telefonata di rito.
    Siamo durati qualcosa come tre mesi ^^’

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